Sogni svaniti
Quando i primi tepori primaverili incominciavano a farsi sentire e i raggi dorati del sole che, giorno per giorno, si innalzava sull’orizzonte, intiepidivano i suoi rami ancor nudi, l’albero di Pioppo lentamente e pigramente andava risvegliandosi dal letargo invernale.
Una smania di scoprire le tenere gemme racchiuse e protette dalle squame embricate, ben saldate dalla resina appiccicosa, lo rendeva inquieto. La linfa ristoratrice risaliva attraverso i vasi conduttori e comunicava ai più piccoli ramoscelli un fremito di vita novella. Aspettava solo il momento propizio.
Il rischio di intirizzirsi dal freddo per l’insidiosissima brina non mancava; meglio non precipitarsi…
Nel frattempo sognava i teneri amori e le delicate carezze della brezza che avrebbe cullato dolcemente gli amenti penduli e li avrebbe incipriati di polline. Ben presto avrebbe provveduto a rivestirli di bioccoli lanosi con i loro semi maturi che, sempre col favore della brezza, si sarebbero posati mollemente sul terreno come fiocchi di neve, avrebbero steso veli candidi sulla superficie delle acque e si sarebbero spinti, attraverso le finestre aperte, fin sul pavimento delle case e sulle scrivanie degli uffici.
Tuttavia uno strano e indistinto presentimento veniva a turbare la sua gioia. Ancora tra il torpore del risveglio, gli era parso di avvertire degli odori insoliti e sgradevoli, che certamente non potevano essere quelli dei muschi e delle violette disseminate lungo la riva del ruscello. Così pure gli giungevano dei rumori irritanti, benché attutiti dall’involucro delle perule.
Persino le radici se le sentiva un po’ intorpidite e non riusciva a “sgranchirsele”. Faceva fatica ad estenderle nel terreno che, contrariamente al solito in questo periodo dell’anno, si rivelava avaro di umidità. Anzi, incontrava come un ostacolo insormontabile a sospingerle fino al corso d’acqua.
Quasi quasi aveva paura di sbocciare!
– Che cosa mi attende là fuori ? – si ripeteva.
Ai colpi di brina era abituato e, ad ogni modo, sapeva adottare dei rimedi, degli stratagemmi ancestrali che, per lo più, risultavano efficaci. Questa volta però tutto lasciava presagire che non si trattasse solo di brina. Già da qualche anno purtroppo si sentiva un po’ soffocare per via dell’aria divenuta sempre più opprimente e irrespirabile, ma ciò era ancora sopportabile. Ci doveva essere qualcosa di più funesto. Bisognava comunque rischiare. E così, dischiuse le gemme alla luce, subito s’avvide di qualcosa che lo prostrò in un’angoscia profonda.
Era stato isolato in una landa arida e deserta. Un’ampia zona di collina era stata sterrata e appianata. Una lunga striscia asfaltata e liscia si perdeva a vista d’occhio, passando a pochi metri di distanza. Veicoli veloci come bolidi sfrecciavano lasciandosi dietro sbuffi di fumo nero e maleodorante. Un frastuono assordante e stridente riempiva l’aria.
Al posto della vegetazione rigogliosa e dei fratelli alberi svettanti nel cielo, si innalzavano pilastri rigidi e freddi di cemento armato. Una desolazione! Si meravigliava come mai l’avessero risparmiato, anziché accomunarlo alla sorte delle altre piante; forse l’avevano destinato a far ombra davanti ad un fabbricato che stava per sorgere.
Persino l’aspetto della volta celeste era mutato. In questa stagione infatti, per il passato, poteva scorgere distintamente solo la brillante costellazione di Orione che attraversava lo spazio sulla sua chioma. Sirio si intravedeva appena tra la ramaglia col suo scintillio azzurro e nitido perché sempre in posizione bassa verso Sud. Ora invece, il suo splendore non veniva schermato da alcun ostacolo. Sembrava trovarsi in un deserto.
Questo all’incirca, con animo accorato e malinconico, mi sussurrava il Pioppo, mentre sostavo assorto e trasognato in quella valle che ero solito visitare, specialmente al tempo delle viole. Quell’anno poi, mi ero recato sul posto, non attraverso l’angusto sentiero che si insinuava tra siepi e tunnel di arbusti in fiore, ma seguendo la nuova carreggiata con la mia auto, che avevo parcheggiata poco distante a ridosso di una cunetta.
E proseguì:
– Voi uomini vi stimate superiori a tutti gli altri esseri del creato perché forniti di raziocinio, ma molto spesso la ragione ve la mettete sotto i piedi, Con quello che chiamate progresso scientifico e tecnologico, state sconvolgendo l’equilibrio biologico, che la la natura è andata sviluppando nel corso di milioni di anni.
A questo punto mi sentii colpito nella mia dignità di uomo e mi feci un dovere rispondere e controbattere:
– Ciò che tu dici è solo in parte rispondente a verità. L’uomo ha le sue esigenze. Non è forse egli il re del creato a cui sono stati sottomessi tutti gli esseri perché li dominasse e li piegasse a suo servizio? A forza di sacrifici enormi e con molto sudore egli va affrancandosi dalla schiavitù della fatica e della sofferenza, per quanto gli è possibile.
– Molta superbia, grande presunzione, nonché una sfrenata avidità, vi annebbiano la mente – replicò. – E male interpretate o volete interpretare questo vostro diritto di dominio sulla natura. Pensate mai seriamente che per sopravvivere avete bisogno di noi, mentre al contrario noi possiamo vivere anche senza di voi?
– E chi contesta ciò ? – soggiunsi.
– Lo ammettete in teoria, ma in pratica vi contraddite. Non riuscite a controllarvi. Così, affamati di fonti energetiche da sfruttare per il vostro comodo, appena scoperte le grandi possibilità che vi offriva quel prezioso carburante, il petrolio, il vostro oro nero, prodotto col nostro concorso e che la madre terra ha tenuto per milioni di anni nascosto nel suo seno, vi siete lanciati su di esso all’impazzata, senza ritegno, come bestie assetate. E intanto riversate ogni giorno nell’atmosfera tonnellate di biossido di carbonio insieme ad altre sostanze tossiche. Nonostante la nostra buona volontà, noi piante non riusciamo a smaltirlo. Ci fate morire per supernutrizione, come spesso avviene tra voialtri, oltre che per asfissia. Per di più abbattete, distruggete, bruciate ettari ed ettari di vegetazione per assecondare la vostra cupidigia, come se il problema non vi riguardasse. Qualche voce sensata per la verità comincia a farsi sentire e mettere in allarme, ma pochi vi prestano ascolto. L’effetto serra, tanto temuto da alcuni, è un pericolo reale e la terra potrà diventare a poco a poco, per il surriscaldamento del globo, un immenso deserto, deserto…
Il suo sussurro diveniva sempre più flebile fino a spegnersi del tutto. Fu allora che mi scossi e venni richiamato alla realtà.
Mi ricordai delle violette, ma le cercai invano sulla riva del ruscello perché anche questo, per un buon tratto, era scomparso, racchiuso in un “bel” canale di cemento. Lì dentro scorreva silenzioso e rapido senza neanche farsi vedere.
Non cantava più col suo chiocchiolio argentino e ritmato tra pendii e cascatelle, non giocava più con i sassi e le piante acquatiche disegnando gorghi e ondulazioni, non si divertiva più a creare stagni brulicanti di vita, sulla cui superficie scivolavano rapide le idrometre e, tra gli steli che vi sporgevano, volteggiavano festose le libellule dalle ali iridescenti. Come se fosse morto!
Mi diressi verso l’auto, aprii lo sportello, mi sedetti al volante, infilai la chiave nel cruscotto, accesi il motore; un colpo di acceleratore e… via!.
Quel “benedetto” Pioppo mi aveva sconvolto, lasciandomi nell’animo come un senso di colpa. Promisi a me stesso che non vi sarei più tornato.
Anche perché, ormai, non vi era più ragione.