Il nostro compito non è soltanto
quello di celebrare il passato,
ma di prevedere il futuro.
J. Bruner
Sì, è proprio così! Come scrive Bruner.
Un docente – dalla scuola dell’infanzia all’università – vive (o almeno dovrebbe vivere) costantemente il futuro e con il futuro dei propri discenti. E la ciceroniana historia magistra vitae? Viva pure tranquilla, purché il passato non si mangi il nuovo e ottunda la previsione del futuro che anzi capire e organizzare le tracce del passato è già un buon esercizio per provare ad immaginare il futuro.
A questo ho pensato al termine della lettura di E-Learning, questo pregevole volume di Franco Biancardi, non casualmente – credo – sottotitolato Capire e Organizzare, ossia a due delle straordinarie e strategiche capacità intellettive dell’uomo.
Perché? Certamente il riferimento non è al passo di spessore culturale e sociopolitico in cui il Biancardi, dopo aver detto dei digital homeless (i “senza-tetto digitali”), denuncia: “È allora lampante che chi è in grado di controllare politicamente la produzione dei software è capace di governare il mondo; da qui l’enorme interesse delle varie lobbies politico-economiche per il controllo dei grandi produttori di tecnologie informatiche.”
Il riferimento è invece alla analisi storico-filosofica delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione (TIC) e alla ricostruzione del percorso gnoseologico dell’uomo nel passare dalla formazione a distanza (FAD) all’e-Learning, ossia all’ultimo approdo dell’apprendimento e dell’insegnamento assistiti dalle tecnologie degli ambienti formativi, cui ritiene che si possa affidare l’auspicio di Jean Piaget, allorché valorizza “l’educazione su misura”, ovvero l’azione personalizzata (individualizzata) della comunità didattica che sperimenta e apprende cooperando.
Sta qui la preoccupazione teoretica ed etica ad un tempo del Biancardi, che propone alla pedagogia una rinnovata attenzione ontologica per il discente, il quale nelle aule scolastiche (e ancor più in quelle universitarie) vive una condizione assai mutata, invero “innovata”, rispetto a non molti anni fa dalla pervasività in progress delle nuove tecnologie.
Egli si sofferma a lungo sull’interazione che le TIC stabiliscono con i modi di essere e di manifestarsi dell’intelligenza, proponendo un percorso per cui parla di intelligenza olistica, logico-sequenziale e poi multifattoriale e multitasking, quasi a voler significare il lavorio della nostra mente nelle grandi fasi transizionali che conducono dalla cultura orale, alla chirografica (la scrittura) e poi alla tipografica ed ora alla massmediale. I riferimenti della riflessione sono i grandi “ismi”, dal comportamentismo al cognitivismo (che ad avviso dell’A. ha segnato il passaggio epocale ad una nuova fase), al costruttivismo cui viene dedicata giustamente un’attenzione, per così dire, da storico della filosofia.
Infatti, prende le mosse da un antesignano quale Aristotele (che affermava “Ciò che dobbiamo imparare a fare lo impariamo facendolo”), approda a Giambattista Vico proposto come il padre del pensiero costruttivista laddove con la locuzione “verum ipsum factum” individua e materializza la sinergia, la condizione di scambio tra conoscenza razionale e costruzione della mente che organizza l’esperienza e da ultimo fa propria la tesi di Jean Piaget secondo cui “la conoscenza è un processo piuttosto che uno stato”, e dunque l’uomo è “un costruttore attivo di conoscenze”.
Dal Dialogo dei massimi sistemi di Galileo Galilei: “Ma sopra tutte le invenzioni stupende qual eminenza di mente fu quella di colui che si immaginò di trovar modo di comunicare i suoi più reconditi pensieri a qualsivoglia altra persona benché distante per lunghissimo intervallo di luogo e di tempo? Parlare a quelli che son nelle Indie, parlare a quelli che non sono ancora nati né saranno di qua a mille e diecimila anni? E con qual facilità? Con i vari accozzamenti di venti caratteruzzi sopra una carta.” Era la scrittura e poi la stampa, il libro, ovvero il supporto della trasmissione della conoscenza.
Ma i “caratteruzzi” già allora non erano venti; molti,molti di più erano i segni che da tempo immemore (dai Megarici a Leibniz) l’uomo andava ammucchiando in quello che chiamiamo il linguaggio comune a tutti gli esseri umani; e tra questi segni, tra questi “caratteruzzi” c’erano i numeri, veri mezzi di produzione assieme alle lettere dell’intelligenza umana, della conoscenza.
Così, se oggi avessi un figlio cercherei di sapere subito se gli piacciono i numeri (che sono molto di più della matematica). Oggi essi si propongono a livello globale con Internet come i segni più importanti, strategici (sebbene grafici e non ancora fonici) del linguaggio comune a tutti gli esseri umani, il quale a tutti offre la capacità di apprendere, assieme alle tante lingue parlate, le lingue informatiche: dal Cobol al C al Fortran dei procedimenti logico-sequenziali e dal C++ al Java della costruzione di Learning Objects tramite l’aggregazione di attributi ed azioni e relative librerie, per non dire degli scripting asp e php ed infine delle regole sintattiche e grammaticali dell’xml e dei suoi vocabolari quale l’xhtml.
Un collega ancora oggi raccomanda alle matricole del corso di laurea in Scienze dell’educazione e della formazione in una società multiculturale di addormentarsi con il dizionario della lingua italiana. Bene. Ottimo.
Tempo addietro c’è stata l’autorevole campagna a favore delle tre “I” = impresa, informatica, inglese. Meno bene e non ottimo. Per via dell’impresa o dell’inglese? No, di certo. Bensì per l’informatica, le cui lingue sono a rapida obsolescenza e si resta disoccupati a meno che non si amino, si conoscano e si sappiano utilizzare i numeri e i segni, ossia i veri mezzi di produzione che stanno prima e costruiscono le tante lingue informatiche almeno in parte dette sopra con i loro acronimi e di qui tanti software informatici, ovvero gli applicativi, comprese le piattaforme con tecnologie open source o vendor che siano, con le quali si fa e-Learning.
L’informatica o meglio la Computer Science ha questo di straordinario: aver assemblato lungo un percorso e secondo obiettivi l’insieme dei segni del nostro linguaggio comune, mantenendo una caratteristica propria della matematica, ossia di essere senza frontiere a differenza delle lingue che oggi popolano i diversi paesi.
Forse stiamo vivendo il sogno di Leibniz! Di più c’è la contemporaneità della comunicazione a prescindere dai luoghi e dalle lingue parlate. Siamo ben oltre l’eminenza di mente cui pensava Galilei.
Certo non c’è un solo stile per insegnare e la didattica è un’arte assai evoluta, da Socrate a Isocrate come da Comenio all’odierno “maestro” della scuola dell’infanzia, per costringersi entro l’uno o l’altro dei due modelli oggi, allo stato, proposti dall’e-Learning: o l’autoapprendimento elettronico o l’apprendimento collaborativo, cooperativo. Nella didattica tradizionale, frontale, c’è un di più a conferma del fatto che l’uomo è per eccellenza multimediale e ipermediale laddove lo soccorrano straordinarie capacità comunicative e mnemoniche e organizzative. Per questo pensiamo che le nuove TIC non supereranno mai l’uomo che appunto le ha ideate e costruite utilizzando e diversamente
combinando i tanti “caratteruzzi” del suo linguaggio comune.
Però, l’e-Learning e in generale le TIC – che il Biancardi propone con dovizia e rigorosa selezione di riferimenti bibliografici e sitografici e soprattutto con preziose schede di approfondimento che esplicitano le qualità e la passione dello studioso – hanno la peculiarità almeno nella forma del Cooperative Learning di offrire e richiedere una continua interattività tra docenti e discenti e dunque la messa in opera, lo scambio tra intelligenze che insieme sperimentano e costruiscono il loro sapere … purché – aggiungiamo – si abbia piena consapevolezza del fatto che padroneggiando i “caratteruzzi” e le loro possibili combinazioni si può proporre l’uno o l’altro stile, l’uno o l’altro modello di sollecitazioni dell’intelligenza. Le prime due parti del volume di Biancardi hanno proprio il merito di stimolare la riflessione sul rapporto tra nuove TIC e piattaforme e-learning da un lato e intelligenza dall’altro. Al riguardo, tra le
tante, mi piace segnalare la scheda di approfondimento dedicata a Seymour Papert oltre che a Piaget, ovvero a due menti matematiche o, per dirla con Michel De Montaigne, a due “teste ben fatte”.
Dunque, ragazzi, se volete esser pastori, andate a letto con i caratteruzzi, imparate a leggere scrivere parlare e insieme a “capire e organizzare” i caratteruzzi, perché lettere, numeri e segni sono i mezzi di produzione delle nuove lingue. E poi con i numeri sarà più facile trovare e conservare il lavoro anche in campo informatico. Le grandi soluzioni, più raffinate e più semplici, della Computer Science sono figlie di matematici, fisici e in subordine, per quel tanto di habitus più applicativo più operativo e meno teorico, degli ingegneri.
Invero Leibniz come Cartesio fu prima di tutto un filosofo, ma allora i filosofi erano ben altra cosa rispetto ad oggi, perché allora attraversavano saperi, erano interdisciplinari, parlavano e capivano e organizzavano diverse lingue … anche quella matematica e non solo il tedesco o il francese o l’inglese.
E nel futuro?
Penso che bisognerà capire e organizzare le lingue informatiche e … il Biancardi ha il merito di suscitare la riflessione su questo orizzonte.
Infatti, non si è fermato al “come” dell’e-learning, ossia al puramente descrittivo che non spiega e al massimo indica percorsi e modi per giungere ad un risultato. Il come è svolto esaustivamente nelle schede di approfondimento e nel glossario.
Il Biancardi, invece, ha cercato – soprattutto nelle prime due parti e qua e là in tutto il volume – di spiegare, di offrirci il “perché” (e talora anche il perché del perché!) le cose vanno in un modo oppure in un altro. Per lui la prima preoccupazione, e in questo si conferma vero docente oltre che studioso, non è importante ottenere il risultato, bensì è importante il modo in cui si ottiene il risultato.
Aurelio Simone
Professore di Didattica e Pedagogia speciale e di Storia della Pedagogia
nella Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Roma “Tor Vergata”
Direttore della Scuola IaD (Istruzione a distanza) nel medesimo Ateneo