Se non sembrasse un paragone azzardato, potrei dire che amo il mio Portici come Umberto Saba amava la sua Triestina. Mi limiterò, allora, a dire che amo il Portici con lo stesso amore con cui lo amavo quando, ragazzino di dieci o undici anni, cominciai a seguirne le imprese sportive: prima, in maniera indiretta, attraverso le pagine de Il Mattino; poi, da spettatore, presso il grigio e polveroso “Cocozza”, dove i palloni calciati con troppa violenza sembravano volare verso il mare – mentre, in realtà, finivano per perdersi nella sottostante ferrovia. Correva l’anno 1973-74, campionato di serie D, salvezza conquistata all’ultima giornata dopo una stagione particolarmente sofferta. Mi accompagnava al campo sportivo il mio ex maestro di scuola elementare, tifoso sfegatato del Portici ancorché di origini lucane (coglievo nei suoi occhi un muto conflitto tutte le volte in cui al Portici si opponeva una squadra della sua terra). La passione per il gioco del calcio mi si era accesa da poco: da quando, sugli schermi di una TV ovviamente in bianco e nero, avevo trepidato, come milioni di italiani, per quel goal di Rivera che, alla fine del secondo tempo supplementare, spingeva l’Italia alla finalissima mondiale. Era Italia-Germania, 4-3, Messico 1970. Non sapevamo, non potevamo sapere, che quelle immagini sarebbero poi entrate nella Storia.
Perché, però, appassionarsi a una squadra minore? In quegli anni seguivo − oltre alla nazionale – l’Inter dei vari Burgnich, Facchetti, Mazzola, Boninsegna, Corso. Altri nomi, certo, altra storia. Calcio con la C maiuscola. Eppure, come ci suggerisce ancora Saba (mi ero ripromesso di non citarlo, ma i suoi versi continuano a perseguitarmi), le emozioni del calcio si assomigliano sempre e comunque: sia che la rete sia gonfiata da un elegante pallonetto di Mariolino Corso, sia che un bolide di Stellone fenda le dita del portiere avversario. E – lo suggerisce un altro scrittore, il preromantico Thomas Gray – c’è altrettanta grandezza, anche se non tutti sanno coglierla, nelle gesta meno note degli eroi di provincia.
Tanto premesso, non c’è da stupirsi dell’entusiasmo con cui, una quindicina d’anni dopo − siamo nel 1986 − accolsi la pubblicazione di un libro sulla storia del Portici. Mi ero recato, come ogni mattina, all’edicola di Via Leonardo da Vinci, allora gestita dall’inossidabile Tonino. Come ogni mattina, cercavo una copia de La Repubblica. Quella mattina, però, ebbi la bella sorpresa di trovarvi esposto, in bella vista, un volume dalla copertina bianca, impreziosita da quattro foto d’epoca. Il libro s’intitolava: Società Sportiva Portici. Ottant’anni di sport, costo: L. 16.000. Non avendo con me la somma richiesta, e temendo che il libro potesse andare esaurito, mi affrettai ad acquistarlo a credito.
L’opera non mi deluse. Nelle parole dell’Autore, Pasquale Lignelli, ritrovai la stessa passione che provavo anch’io. Cosa ancor più importante, trovai una ricostruzione documentata e rigorosa della storia di quella squadra sulle cui origini, allora, ero del tutto ignaro. Una storia ricostruita con precisione e rigore metodologico, attraverso la ricerca di documenti antichi e la raccolta di testimonianze orali dei protagonisti (o dei loro discendenti). Nelle cronache degli anni ’20, il nostro Portici, quando militava in II divisione (una serie B dell’epoca), era designato al femminile (“la Portici”), in quanto Società Sportiva, e – come mostrano alcuni documenti fotografici e alcune cronache sportive del tempo – esibiva casacche azzurro-crociate.
Nel libro di Lignelli trovai altresì registrati i risultati e le classifiche dei campionati antecedenti alla storica promozione in serie D del 1968-69: campionati di cui nulla sapevo, perché le mie conoscenze erano affidate all’Almanacco Illustrato del Calcio della Panini, ove il Portici aveva l’onore di comparire solo negli anni più “gloriosi” della D. Il libro si chiudeva con il campionato di Promozione 1985-86 (torneo corrispondente all’attuale Eccellenza).
Altri tempi: lo stadio “S. Ciro” era stato da poco inaugurato. Ve n’è un’immagine nel volume, accompagnata dalla didascalia: «Il nuovo stadio S. Ciro: l’esempio della svolta dello sport porticese?». Didascalia a dir poco preveggente: l’anno successivo, infatti (1986-87), il Portici avrebbe stravinto il campionato di Promozione (22 vittorie, 6 pareggi, 2 sconfitte, 57 goal fatti contro 15 subiti), dominando anche gli spareggi regionali (contro S. Antonio Abate e Arzanese) e ritornando in D (allora denominata Campionato Interregionale) dopo 11 anni. In D il Portici sarebbe rimasto per sette campionati ancora (con l’unica parentesi del campionato 1992-93, altra stagione vittoriosa in Eccellenza), prima di ripiombare nelle serie regionali alla fine del campionato 1994-95. Sarebbero seguiti vari campionati di Eccellenza in cui la promozione in D sfumò per un soffio o fu persa solo agli spareggi. Poi cominciò, lentamente, quel declino che avrebbe portato alla scomparsa della società nell’estate del 2010.
In concomitanza con il declino della vecchia, storica S.S. Portici, cominciarono timidamente ad affacciarsi all’orizzonte due nuove società partite, umilmente, dal gradino più basso della piramide calcistica: il campionato provinciale di III categoria. Ricordo che accolsi con indifferenza, se non con fastidio, tale doppia nascita. Il Portici navigava con risultati non proprio brillanti nel campionato di Promozione (livello più basso mai toccato dalla società nella sua lunga storia sportiva), e non si vedeva proprio il bisogno di disperdere le forze anziché unirle. Avevo visto male. A fine campionato, dopo una stagione poco felice (ma coronata se non altro dalla salvezza), il Portici chiudeva per sempre la sua storia ultracentenaria. Una delle due squadre cittadine ne avrebbe preso il posto, ereditandone la storia. Si trattava della Virtus Portici. La nuova società comincia subito con lo stabilire un piccolo, grande record: nei primi quattro anni di attività inanella quattro promozioni consecutive, passando dalla III categoria all’Eccellenza. Nello spareggio play off del campionato di Promozione, a Teggiano, contro il Valdiano, l’undici porticese supera sé stesso. Il Mattino del 27 maggio 2013 titolava: “Portici, impresa epica”. Sì, perché la squadra era riuscita, con sette uomini contro dieci, a segnare il goal decisivo nell’ultimo minuto del secondo tempo supplementare («incredibilmente, al 119’, Rega controlla la palla spalle alla porta, si gira, evita un difensore ed infila rasoterra»). Se è vero che anche una categoria calcistica “piccola” può regalare emozioni “grandi” (gli “abbracci” e i “gesti giulivi” di Saba non sono un’esclusiva del calcio plurimilionario), quella partita fu un’Italia-Germania “de noantri”. A suggellare le imprese sportive, giungerà poi il secondo e definitivo cambio di denominazione: la società, che da Virtus Portici si era già trasformata in Vis Portici 1906, si lascia alle spalle anche il Vis e diventa semplicemente Portici 1906. Il nuovo si congiunge con l’antico. I tifosi, del resto, ancor prima che fosse effettuato il cambio giuridico della denominazione sociale, avevano già unito il presente e il passato, il nuovo al vecchio Portici. Lo testimonia, a chiare lettere, un filmato ancora disponibile su YouTube, dove si può vedere, in primo piano, un enorme striscione azzurro con una scritta bianca: «1906: la storia non si cancella».
Il capolavoro arriva poi nel Campionato di Eccellenza 2016-17: dopo 22 anni il Portici, sotto la presidenza di Lorenzo Ragosta, torna finalmente in serie D! In un’epoca in cui molte delle squadre minori si regalavano facili promozioni a tavolino, ottenute sfruttando parassitariamente le disgrazie altrui (attraverso, cioè, l’acquisto di titoli sportivi di società fallite) il Portici si distingue per una scalata realizzata nel modo più consono a una squadra di calcio: le vittorie, sudate e meritatissime, sul campo. Il 2017-18 è, dunque, l’anno del ritorno nella quarta serie nazionale, ma è anche l’anno del ritorno al mitico “S. Ciro”, che – dopo un lungo periodo di impraticabilità – sta per essere finalmente riconsegnato alla squadra e ai tifosi.
Questo libro è, dunque, anche la rievocazione di quell’inarrestabile cavalcata che ha permesso al vecchio Portici di ripresentarsi su scenari più consoni al suo passato e alla sua lunga, gloriosa tradizione sportiva. Ed è un libro nuovo, ma insieme antico. Perché è un libro che ingloba quel vecchio, prezioso volume di Pasquale Lignelli pubblicato nel 1986, corredandolo della necessaria ricostruzione della storia più recente. Al lavoro di aggiornamento hanno partecipato lo stesso Pasquale Lignelli (fino al 1998-99) e Maurizio Longhi (dal 1999-2000 a oggi), mentre il sottoscritto si è occupato delle classifiche dei campionati (dal 1922-23 a oggi).
Alcuni dati, purtroppo, sono stati impossibili da recuperare, a causa della distanza temporale che ci separa dai fatti e della frammentarietà delle informazioni pervenuteci. Nondimeno, si è fatto del nostro meglio per effettuare una ricostruzione storica il più fedele possibile: sono stati consultati i giornali dell’epoca e le fonti digitali, e sono stati sentiti i vari protagonisti in qualità di testimoni. A chi vorrà continuare in futuro si lascia il compito, non semplice, di inserire le tessere mancanti per completare il mosaico.
Michele Stanco